Fino a pochi anni fa, l’unico modo per valutare la presenza e il grado della fibrosi epatica era la biopsia del fegato, un esame invasivo che consiste nel prelievo di un frammento di tessuto epatico con un ago.
La biopsia, pur essendo considerata a lungo il “gold standard” diagnostico, comporta rischi e disagi non trascurabili: richiede anestesia locale, può causare dolore e, seppur raramente, gravi complicanze come emorragie, oltre ad avere costi elevati e necessitare di tempo per l’analisi istologica.














